PREMIO POZZALE | Il prestigioso riconoscimento letterario, intitolato a Luigi Russo, va a Donatella Di Cesare, Giorgio Falco e Rosella Postorino
EMPOLI – Anche la 66a edizione del ‘Premio letterario Pozzale Luigi – Russo’ è passata, con i suoi vincitori e con le sue opere riconosciute come le migliori dalla giuria, su un parco di 22 libri esaminati.
Se ne va e da appuntamento al 2019 con un profondo rinnovamento a 70 anni dalla sua nascita.
Oggi pomeriggio, sabato 10 novembre, alle 17, al Cinema Teatro ‘La Perla’ di Empoli, è andata in scena la cerimonia di premiazione con molte novità.
«Quest’anno – ha spiegato il sindaco di Empoli Brenda Barnini – siamo andati a ritoccare alcune delle fondamenta del nostro ‘Premio Pozzale Luigi Russo’. Per questo voglio ringraziare tutti coloro che hanno partecipato a questa ricostruzione, soprattutto i cittadini che sono entrati a far parte della Giuria popolare. Quello che ci siamo chiesti, come punto di partenza, è il perché non avevamo mai coinvolto le scuole. Stamani tantissimi giovani sono venuti ad incontrare gli autori. Ecco perché abbiamo fatto un’operazione che tenesse insieme le radici storiche, andando però verso la comunità cittadina. Con anche il tentativo, riuscito, di riconnettersi alla Casa del Popolo di Pozzale, dove tutto cominciò e dove chiudiamo la serata, tutti insieme. Empoli è una città che legge, un titolo che ci è stato assegnato con il festival dell’ascolto e della lettura, ‘Leggenda’. E tutto l’impegno messo è stato per riportare alla luce la storia del Premio, garantendo un suo futuro, affinché sia più lungo possibile. Settant’anni fa fu avviato con grande lungimiranza, adesso ha radici salde, e vogliamo farlo parlare a tutta la città».
Il riconoscimento, in questo 2018, ha voluto rinnovarsi tornando in qualche modo alle sue origini e proponendo alcune novità significative.
La prima ha riguardato il coinvolgimento dei cittadini con la nascita di una Giuria Popolare che si è affiancata a quella che da sempre costituisce il fulcro del Premio. Inoltre sono stati organizzati veri e proprio circoli di lettura per coinvolgere la cittadinanza e il mondo scolastico approfondendo le tre opere vincitrici, due testi di narrativa contemporanea e uno di saggistica (filosofia): Donatella Di Cesare, Stranieri residenti. Una filosofia della migrazione (Bollati e Boringhieri 2017); Giorgio Falco, Ipotesi di una sconfitta (Einaudi 2017); Rosella Postorino, Le assaggiatrici (Feltrinelli), a quest’ultima anche il premio ‘Selezione dei lettori’, conferito dalla Giuria Popolare.
LE OPERE VINCITRICI e gli AUTORI
Donatella Di Cesare, Stranieri residenti. Una filosofia della migrazione, Bollati e Boringhieri 2017
Nel paesaggio politico contemporaneo, in cui domina ancora lo Stato-nazione, il migrante è il malvenuto, accusato di essere fuori luogo, di occupare il posto altrui. Eppure non esiste alcun diritto sul territorio che possa giustificare la politica sovranista del respingimento. In un’etica che guarda alla giustizia globale, Donatella Di Cesare con limpidezza concettuale e un passo a tratti narrativo riflette sul significato ultimo del migrare, dando prova anche qui di saper andare subito al cuore della questione. Abitare e migrare non si contrappongono, come vorrebbe il senso comune, ancora preda dei vecchi fantasmi dello jus sanguinis e dello jus soli. In ogni migrante si deve invece riconoscere la figura dello «straniero residente», il vero protagonista del libro. Atene, Roma, Gerusalemme sono i modelli di città esaminati, in un affresco superbo, per interrogarsi sul tema decisivo e attuale della cittadinanza. Nella nuova età dei muri, in un mondo costellato da campi di internamento per stranieri, che l’Europa pretende di tenere alle sue porte, Di Cesare sostiene una politica dell’ospitalità, fondata sulla separazione dal luogo in cui si risiede, e propone un nuovo senso del coabitare.
(Fonte: http://www.bollatiboringhieri.it)
Donatella Di Cesare è professore ordinario di Filosofia teoretica alla Sapienza Università di Roma e di Ermeneutica filosofica alla Scuola Normale Superiore di Pisa.
È stata visiting professor e ha tenuto conferenze e lezioni in numerose università in ambito internazionale, tra cui Berlino, Monaco, Kassel, Zurigo, Basilea, Madrid, Barcellona, Nijmegen, Parigi, Gerusalemme, Rio de Janeiro, Chicago, Seattle, Washington, Boston. Fa parte del Comitato scientifico della Internationale Wittgenstein-Gesellschaft. I suoi libri sono tradotti in numerose lingue (inglese, francese, tedesco, spagnolo, danese portoghese, polacco, norvegese croato, cinese). Tra i suoi ultimi libri si annoverano Terrore e modernità (Einaudi 2017), Tortura (Bollati Boringhieri 2016), Heidegger e gli ebrei. I “Quaderni neri” (Bollati Boringhieri 2014). Per i suoi studi sull’Olocausto, a causa di ripetute minacce, dal 2015 viveva sotto scorta, fino a pochi giorni fa, quando tale misura è stata rimossa dal Ministero degli Interni.
—–
Giorgio Falco, Ipotesi di una sconfitta, Einaudi 2017
Da bambino Giorgio Falco amava la divisa da autista degli autobus, che il padre indossava ogni giorno per andare al lavoro, tanto che a Carnevale voleva vestirsi come lui, anziché da Zorro, chissà se per emularlo o demolirlo.Questo romanzo autobiografico non può che cominciare cosí, con la storia del padre: solo raccontando l’epopea novecentesca del lavoro come elevazione sociale, come salvezza, Falco ne può testimoniare il graduale disfacimento, attraverso le proprie innumerevoli esperienze professionali, cominciate durante il liceo per pagarsi una vacanza mai fatta. Operaio stagionale in una fabbrica di spillette che raffigurano cantanti pop, il papa e Gesú, per 5 lire al pezzo. Venditore della scopa di saggina nera jugoslava, mentre in Jugoslavia imperversava la guerra. Aspirante imprenditore di un’agenzia che organizza «eventi deprimenti per le élite». Redattore di finte lettere di risposta ai reclami dei clienti. Una lunga catena di lavori iniziati e persi, che lo conduce alla scelta radicale di mantenersi con le scommesse sportive. È la fine, o solo l’inizio. Perché questa è anche la storia – intima, chirurgica, persino comica – di un lento apprendistato per diventare scrittore. E di come possa vivere un uomo incapace di adattarsi.
«Mi sentivo convalescente, ma non ero deluso dal lavoro. Soffrivo, dall’età di diciassette anni, di una nevrosi politica ed economica, piú che individuale».
(Fonte: http://www.einaudi.it)
Giorgio Falco è autore di romanzi e racconti che, sin dal suo esordio, nel 2004 con Pausa caffè (Sironi 2004), continuano a raccogliere un notevole apprezzamento da parte della critica, testimoniato dai numerosi premi ricevuti (Premio Volponi, Premio Mondello, Premio Comisso), per l’acutezza di visione e la precisione del linguaggio che riesce a delineare con esattezza il grigiore, condizione fisica e psichica di sfaldamento dell’individuo nella società del capitalismo postindustriale.
Tra i suoi libri ricordiamo L’ubicazione del bene (Einaudi 2009) Gemella H (Einaudi 2014), Condominio Oltremare (L’orma 2014) nella collana fuoriformato curata da Andrea Cortellessa, Sottofondo italiano (Laterza 2015).
—–
Rosella Postorino, Le assaggiatrici, Feltrinelli 2018
“Il mio corpo aveva assorbito il cibo del Führer, il cibo del Führer mi circolava nel sangue. Hitler era salvo. Io avevo di nuovo fame.” Fino a dove è lecito spingersi per sopravvivere? A cosa affidarsi, a chi, se il boccone che ti nutre potrebbe ucciderti, se colui che ha deciso di sacrificarti ti sta nello stesso tempo salvando?
La prima volta che entra nella stanza in cui consumerà i prossimi pasti, Rosa Sauer è affamata. “Da anni avevamo fame e paura,” dice. Con lei ci sono altre nove donne di Gross-Partsch, un villaggio vicino alla Tana del Lupo, il quartier generale di Hitler nascosto nella foresta. È l’autunno del ’43, Rosa è appena arrivata da Berlino per sfuggire ai bombardamenti ed è ospite dei suoceri mentre Gregor, suo marito, combatte sul fronte russo. Quando le SS ordinano: “Mangiate”, davanti al piatto traboccante è la fame ad avere la meglio; subito dopo, però, prevale la paura: le assaggiatrici devono restare un’ora sotto osservazione, affinché le guardie si accertino che il cibo da servire al Führer non sia avvelenato.
Nell’ambiente chiuso della mensa forzata, fra le giovani donne s’intrecciano alleanze, amicizie e rivalità sotterranee. Per le altre Rosa è la straniera: le è difficile ottenere benevolenza, eppure si sorprende a cercarla. Specialmente con Elfriede, la ragazza che si mostra più ostile, la più carismatica. Poi, nella primavera del ’44, in caserma arriva il tenente Ziegler e instaura un clima di terrore. Mentre su tutti – come una sorta di divinità che non compare mai – incombe il Führer, fra Ziegler e Rosa si crea un legame inaudito.
Rosella Postorino non teme di addentrarsi nell’ambiguità delle pulsioni e delle relazioni umane, per chiedersi che cosa significhi essere, e rimanere, umani. Ispirandosi alla storia vera di Margot Wölk (assaggiatrice di Hitler nella caserma di Krausendorf), racconta la vicenda eccezionale di una donna in trappola, fragile di fronte alla violenza della Storia, forte dei desideri della giovinezza. Come lei, i lettori si trovano in bilico sul crinale della collusione con il Male, della colpa accidentale, protratta per l’istinto – spesso antieroico – di sopravvivere. Di sentirsi, nonostante tutto, ancora vivi.
(Fonte: http://www.feltrinellieditore.it)
Rosella Postorino, nata quarant’anni fa a Reggio Calabria, ma vissuta principalmente tra Imperia e Roma, è autrice di romanzi e racconti, oltre che di un saggio di critica letteraria, Malati di intelligenza (nell’antologia Duras mon amour 3, Lindau 2003). In una capsula, è il suo racconto di esordio, confluito nell’antologia Ragazze che dovresti conoscere(Einaudi 2004). Ha pubblicato tra i suoi romanzi La stanza di sopra(Neri Pozza, 2007), L’estate che perdemmo Dio (Einaudi 2009) e Il corpo docile (Einaudi 2013) Il mare in salita (Laterza, 2011) ed inoltre la pièce teatrale Tu (non) sei il tuo lavoro (in Working for Paradise, Bompiani, 2009). Collabora con riviste e case editrici, tra cui «la Repubblica» e «Rolling Stone»